Capitolo VI: Nightmare
Faceva freddo, non nel senso sulla pelle, anche perché non avrei potuto sentirlo. Era un gelo pungente che mi prendeva da dentro e allo stesso tempo mi faceva bruciare come se fossi appena entrato in una fornace. Il gelo e il calore però, non mi facevano male, quanto più mi davano una strana sensazione di angoscia. Dove mi trovavo? Come c'ero arrivato? Queste domande popolavano la mia mente e non riuscivo ancora a trovare le risposte.
Il mio corpo si muoveva autonomamente, senza che dovessi dargli alcun comando e mi stava portando fino all'entrata di una caverna da cui proveniva un pungente odore di zolfo.
Cercai con tutte le mie forze di tornare indietro, e invece continuavo a muovermi fin dentro l'entrata di quella grotta oscura. Ero terrorizzato, non avevo mai provato una sensazione del genere prima d'ora e non era un bene.
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Una voce profonda e gutturale echeggiò nella caverna, mi voltai agitato in tutte le direzioni ma non riuscii a vedere nulla.
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Non riuscivo a comprendere alcuna parola, la voce continuava a ripetere suoni inquietanti ma all'apparenza privi di senso. Che razza di strana lingua era quella?
Le gambe fremevano per scappare eppure io mi trovavo ancora bloccato in quel vortice di terrore.
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Mi feci coraggio e cercai un modo per comunicare con qualunque cosa si trovasse in quella grotta
"Non ti capisco…" Provai a dire, ma le parole restarono intrappolate nella mia gola e nessun suono scaturì dalla mia bocca aperta.
L'ennesimo rumore in quella caverna riuscii a comprenderlo perfettamente. Una risata, scura, inquietante e maligna.
Capirai quando ne avrai bisogno…
Mi rispose, come se mi avesse letto nel pensiero
"Chi sei?" Pensai intensamente, un'altra cupa risata echeggiò nello spazio vuoto attorno a me e un'ombra scivolò silenziosa oltre le mie spalle. Mi voltai di scatto. Nulla.
"Fatti vedere!"
Rise di nuovo e poi decise, finalmente, di mostrarsi a me.
Vidi l'ombra arrampicarsi lungo la parete, ancora avvolta nell'oscurità, ma questa volta riuscii ad intravedere il corpo lungo e sottile e le enormi ali nere come la pece. Mentre l'essere saliva, graffiava la roccia sottostante provocando un rumore stridulo ed agghiacciante che mi fece rabbrividire. Rise notando la mia razione e poi si fermò su di uno spuntone di roccia.
Avanti avvicinati, non ti farò niente…tu mi servi.
"Scappa!" Urlò ogni singola particella del mio corpo, eppure esso sembrava ubbidire costantemente alla voce, e allora fui costretto ad avvicinarmi quanto bastava per intravederne l'aspetto quasi…umano, non fosse stato per le ali, ma i capelli lunghi e scuri mi impedivano di vederlo in viso.
"Chi…Che cosa sei?"
Alzò di scatto la testa mostrando un sorriso maligno. Ma non fu la sua espressione a paralizzarmi dallo stupore e dal terrore.
Il volto era pallido e scarno con un'espressione più che inquietante e gli occhi erano rosso sangue. Ma anche con quelle differenze non potevo avere dubbi sull'identità di quel viso, nonostante cercassi in tutti i modi di darci una qualunque altra spiegazione, quegli occhi continuavano a trafiggermi. No! Non poteva essere vero…
-Sono te, Bill- Disse, sempre con lo stesso orribile sorriso stampato in volto.
Urlai, urlai disperatamente, ma ancora non riuscivo a sentire il suono della mia voce
"No, no, no!!"
-NOOOOOOOOOOOO-
Mi alzai di scatto con gli occhi sbarrati dall'angoscia.
-Bill, Bill che succede??- Mi chiese Tom, probabilmente svegliato dalle mie urla.
Non riuscivo a rispondere, boccheggiavo soltanto con le immagini di quel tremendo incubo ancora fisse nella mente. Non esistevano parole per poter descrivere l'insieme di tremende sensazioni che aveva portato con sé quella visione
-Bill, rispondimi!!-
Ritornai in me e mi concentrai su Tom
-è stato solo un sogno- Dissi -Solo un sogno- Ripetei cercando di convincere sia lui che me stesso delle mie parole.
-Qualunque cosa vediamo in sogno è destinato a compiersi nel futuro, lo sai bene-
Tremai al solo pensiero. Aveva ragione, noi angeli avevamo il potere di prevedere il futuro, sia nostro che della Terra, durante il sonno. Poche volte questi sogni erano chiari; nella maggior parte dei casi si trattava di visioni all'apparenza assurde ed inspiegabili, che venivano comprese soltanto quando l'evento si manifestava. Il sogno che avevo fatto io, però, non lasciava presagire nulla di buono, e non avevo alcuna intenzione di raccontarlo a Tom
-Bill, avanti racconta- Mi disse il mio amico, ansioso di scoprire quale visione mi avesse potuto turbare così nel profondo.
-Lascia perdere- Dissi voltandomi dall'altra parte, ma sfortunatamente lui non demorse
-è così grave?- Mi chiese preoccupato
-Non ti riguarda- Risposi lapidario. Allora Tom sbuffò e mi afferrò per una spalla costringendomi a guardarlo in faccia
-Qualunque cosa riguardi te, riguarda anche me- Mi disse serio. Come potevo dire di no a quegli occhini nocciola?
Sospirai ed iniziai a raccontargli il mio incubo per filo e per segno, omettendo però un particolare, non gli dissi che quell'essere in realtà ero sempre io.
Tom sembrava piuttosto sconvolto alla fine del mio racconto:
-Che cosa ti diceva esattamente quel…coso?- Mi domandò
-Te l'ho già detto, parlava una lingua incomprensibile…-
Tom appoggiò il mento sulla mano, pensieroso
-Impossibile, noi siamo in grado di parlare ogni lingua esistente…tranne quella dei demoni!- Si illuminò alla fine ma io scossi la testa
-No, sono certo che non lo fosse, ma non era nemmeno un angelo, o un a qualunque altra creatura che io conosca…- Dissi mordicchiandomi le labbra, quella situazione mi stava innervosendo sempre di più. Aggiungendoci il fatto che non avevo ancora raccontato tutta la verità a Tom si poteva benissimo capire in che stato mi trovassi, rischiavo di cedere da un momento all'altro.
-Hai detto che aveva un paio di ali piumate giusto?- Mi chiese il biondo scuotendomi dai miei pensieri
-Sì, come le nostre, ma nere-
Tom si batté d'improvviso una mano sulla fronte, colto dalla soluzione
-Un Caduto.- Concluse infine guardandomi, io rabbrividii e distolsi lo sguardo dai suoi occhi, perché altrimenti sarebbe stato troppo facile per lui vedere la mia preoccupazione.
Non c'era sorte peggiore per un angelo, i Caduti erano coloro che avevano commesso peccati talmente gravi da non poter più essere accettati nei cieli, e venivano quindi esiliati nel limbo fra il nostro mondo e la Terra. Alcuni di loro decidevano di abbracciare completamente l'oscurità e passavano la loro esistenza all'Inferno. Ma il più delle volte continuavano semplicemente a vagare senza meta, finché la loro esistenza non perdeva completamente significato e allora essi si rintanavano da qualche parte soli, pregando eternamente una morte che non sarebbe mai potuta arrivare.
Allora questo significava il mio sogno? Per qualche motivo io sarei stato fatto cadere? Il mio pensiero volò immediatamente al libro di Nike, ma di sicuro quel furto non era abbastanza per una punizione tanto tremenda. No, doveva trattarsi di qualcosa che avrei combinato in futuro, ma come avrei potuto io commettere un atto tanto grave?
-Non è possibile…- Sussurrai, ma non abbastanza piano perché il mio amico non mi sentisse
-Bill, che cos'hai?- Mi chiese Tom apprensivo. Ovvio che fosse preoccupato, quel giorno avevo assunto comportamenti decisamente assurdi.
-Nulla, nulla… Senti, non parliamo più di questo incubo ok? Tanto se deve succedere succederà, di qualunque cosa si tratti- Dissi sbrigativo, dovevo chiudere il discorso il più in fretta possibile, non so quanto sarei potuto persistere nel mio silenzio se avessimo continuato a parlarne.
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Arrivai alla fermata in attesa che passasse la vettura giallo sporco che mi avrebbe riportato a casa, ma mi stupii di me stessa quando mi accorsi che, in realtà, non stavo aspettando soltanto l'autobus.
Eccolo là, in fondo alla via che si incamminava pazientemente verso la fermata, sistemandosi di tanto in tanto il ciuffo ribelle. Come avevo fatto a non accorgermi prima di lui? Era davvero bellissimo, colpito dalla luce del sole che faceva brillare i suoi occhi. Quando il suo sguardo si posò su di me mi salutò con un cenno ed io risposi debolmente al suo saluto, chiedendomi come mi la temperatura fosse salita così all'improvviso.
Si posizionò accanto a me, ma non disse nulla. Voleva che per una volta fossi io a rompere il ghiaccio; che lo facesse per misurare l'interesse che avevo per lui? No, non gliela avrei data vinta così facilmente.
-Oggi c'è proprio bel tempo- Mi disse, dopo qualche minuto di silenzio si era finalmente arreso: uno a zero per me. Quasi mi scappò un sorrisetto, ora potevo anche abboccare…in fondo se lo meritava:
-Certo, oggi il sole è proprio luminoso, questa giornata mette quasi allegria- Commentai
-Non sarà mai bello quanto te - Disse, prendendomi in contropiede. Accidenti! Questa non me la sarei mai aspettata. Arrossii violentemente distogliendo lo sguardo da lui, ma a giudicare dalla sua dolce risatina, doveva essersi accorto della mia reazione. Kristian-Lara: Uno pari.
-Che c'è?- Mi domandò, come fingeva bene la sua innocenza
-Niente è che…non sono molto abituata a ricevere complimenti- Lui mi guardò, sembrava sinceramente sorpreso
-Che cosa imperdonabile- Disse scuotendo la testa e strappandomi un sorriso
-Sai…a volte mi sembra quasi di essere invisibile, è come se alla gente non importasse se sono viva o morta, felice o triste…non so se mi capisci…-
Intanto arrivò l'autobus ed entrambi salimmo sul mezzo.
Per quasi tutta la durata del viaggio Kristian non mi rivolse più la parola, arrivai a chiedermi dove avessi sbagliato. Probabilmente si era accorto di quanto fossi sfigata e perennemente depressa, lo capivo, se avessi potuto anch'io sarei stata alla larga da me stessa.
Per questo rimasi profondamente sorpresa, non so se in bene o in male, quando lui mi afferrò la mano poco prima che l'autobus arrivasse alla mia fermata. Ebbi appena il tempo per voltare la testa che le sue labbra erano già incollate sulle mie e vi posavano sopra un bacio breve e casto. Non provò nemmeno a far entrare la lingua nella mia bocca, appena dischiusa per incastrarsi con la sua. Non chiusi gli occhi e non pensai minimamente a quello che mi stava accadendo, non ne avevo bisogno. L'autobus frenò di colpo e noi due ci staccammo, io lo guardai per una manciata di istanti e poi, senza dire una parola, scappai via dalla porta scorrevole appena aperta, con le guance in fiamme.
Non c'è che dire, aveva segnato senza dubbio una bella tripletta. La partita si era conclusa così: quattro a uno per Kristian. Le mie labbra, che ancora sapevano di lui, si incurvarono disegnando un sorriso ebete sul mio viso, mentre constatai che, effettivamente, il sole brillava davvero tanto quel giorno.