Rating: G/PG
Fascia: Arancione.
Genere: romantico/ malinconico/ fantasy
Avvisi: Violence - OC - Angst - violence - Paranormal - Language (parziale)
Desclimer: Bill Kaulitz, naturalmente, non mi appartiene. OneShot scritta senza alcuno scopo di lucro.
Couple: Bill/Anny
Note: ---
« Si dice che l'impossibilità è data solo dalla morte, quella terribile compagna che spesso, purtroppo, spezza troppo presto i sogni, i respiri.
E dire che è indispensabile per bilanciare il mondo. »
~
« Credete nel paradiso?
Forse esiste, nessuno può saperlo. »
~
« Se vi donassero un potere, che vi permetta di superare questo limite, cosa accadrebbe?
C'è sempre stato, è sempre esistito.
Quello di amare. »
La chiave
Una fredda giornata invernale.
Le nuvole minacciose promettevano neve.
L'aria era leggera, frizzante, quasi sembrava composta di minuscoli filamenti, quando la si respirava.
Chiusi la porta di casa alle mie spalle.
Ero semplicemente distrutta. Distrutta dentro.
Presi le cuffie e le infilai velocemente nelle orecchie.
Lo zaino sulla mia schiena pesava parecchio. Non avrei voluto prenderlo, come ogni mattina.
Questa schifosa giornata sembrava come tutte le altre.
Anny, fai un passo, un altro ancora.
Odiavo tutto ciò che mi circondava e un involucro invisibile sembrava avvolgermi.
Avevo estremamente bisogno di una persona al mio fianco e non ne avevo.
Quando vidi quel fottuto cancello grigio, alto e appuntito, mi si strinse lo stomaco.
Lo percorsi velocemente, a testa bassa.
Qualcuno mi bloccò. Una stretta troppo forte, le dita troppo grandi per divincolarsi, scappare. Era lui.
Sollevai un po' lo sguardo. Avevo paura, infatti, rabbrividii.
"Hey, guarda chi è arrivata!" Disse la voce dietro di me, sarcastica.
"Come mai qui oggi? Una schifosa secchioncella non merita di stare in questa scuola." Continuò ridendo.
Evitai di rispondere, perchè, se lo avessi fatto, mi avrebbero fatto del male. Come ogni volta.
I miei genitori, per lavoro, erano spesso, purtroppo, fuori casa. Ma c'era qualcosa, qualcosa che riempiva questo grande vuoto, che riusciva a colmare il mio piccolo cuore, grande quanto il mio pugno, che incessantemente, batteva.
Da quando non era più con me iniziai a logorarmi interiormente e quegli stupidi continuavano a ferirmi, lui non c'era.
Non sarebbe tornato, mai più. Veniva schernito per difendermi, forse, mi amava.
Il ragazzo mi diede una forte spinta, lasciando la mia giacca che reggeva nella sua forte presa.
"Vai in classe." Sorrise soddisfatto di avermi trattato come meritavo, secondo lui.
Mi chiedevo, al principio, perchè tutti fossero contro di me. Poi capii.
Non avevano motivo. Amavano prendere di mira la gente e provocarla senza, naturalmente, ottenere alcuna reazione contraria.
Io ero un caso di quelli. Le lacrime erano quotidiane amiche, se loro erano presenti. Non ne avevo altri, non avevo amici.
Solo lui. Avrei voluto raggiungerlo, lassù. Ma sapevo che mi avrebbe odiata se l'avessi fatto: sognavo che i confini invalicabili che dividevano quei mondi scomparissero, per una volta.
Tutti non lo sopportavano per il suo modo di fare. Era stato l'unico capace di ribellarsi ma mi era stato strappato via.
~ ~ ~
Andai in classe e seguii passivamente le lezioni. Al loro termine decisi di andarmene velocemente a casa.
Presi lo zaino dal banco, mentre vi riposi all'interno un paio di libri dell'ultima ora.
Rimasi da sola in aula e approfittai di quel silenzio per stare più tranquilla.
Rimasi zitta, presi un profondo respiro e fiondai velocemente in corridoio.
Uscii di lì e imboccai la strada per raggiungere casa ma qualcuno bussò dietro la mia spalla.
Mi voltai velocemente, quel tocco era lo stesso di quel ragazzo del quarto di quella mattina.
Come ogni volta gli chiesi di lasciarmi in pace, anche se sarebbe stato tutto inutile.
Non si facevano scrupoli, anche con le ragazze. Io ero l'unica che quando lui era con me, non aveva paura.
E' facilissimo attaccare una sola persona di quarantatrè chili in quattro, troppo facile.
Avrei voluto che tutto quello smettesse una volta per tutte.
"Anny, Anny, Anny perchè cammini sola soletta?" Mi chiese piazzandosi davanti a me mentre gli altri ci accerchiarono.
Non risposi, spaventata da quel tono troppo tranquillo, che faceva presumere l'inizio di una nuova "tortura".
Mi sollevò con forza il viso con due dita per costringermi a guardarlo.
Il suo sguardo scivolò dai miei occhi, fino al collo.
Avvicinò la sua mano e notò che indossavo una catenina argentea, con un ciondolo, una chiave.
La prese tra le mani e tirando forte, velocemente, la staccò.
Quell'oggetto era l'unico ricordo materiale che mi era rimasto di lui.
Sentii la rabbia prendere possesso della mia mente.
"Dammela, dammela!" Dissi allungando la mano, cercando di prenderla.
"No." Sorrise semplicemente, con un ghigno spavaldo.
Avrei voluto dargli talmente tanti pugni da sfigurarlo per sempre.
Lo insultai, in preda all'ira. Di risposta lui, con espressione provocatoria e innervosita per il solo fatto che qualcuno gli avesse risposto, si avvicinò alle grate sul pavimento e la lasciò scivolare giù.
Scoppiai in lacrime mentre lui tornò da me.
"Oh, che peccato! E' caduta!" Disse con un'espressione di finto dispiacere.
"Era..."
"Di Bill? Oh mio Dio, perdonami. Non lo farò più." Sorrise.
Fissai quella maledetta grata.
Avrei voluto farci sbattere la testa di Ian, lì.
Non vedevo più nulla, per la velocità con cui scendevano le lacrime.
"Smettila, stupida. E' morto. Morto. Non lo avrai mai più."
Continuò a parlare, ogni tanto spezzando le parole con una risatina.
Avevo solo sedici anni, lui due in più, quando mi lasciò.
Bill, era quello il suo nome che, a mio parere, gli si addiceva solo per la forza caratteriale, contrapposta a quella fisica sempre pronta a mettersi in gioco per me.
"Ricordi, Anny, la sua bara bianca, un anno fa? Oh, forse era di meno."
Era uno dei ricordi più vividi nella mia mente, quel giorno. Sembrava riposasse lì dentro.
Mi stava logorando l'anima con quei pensieri.
Andai vicino alle piccole sbarre e mi inginocchiai, sperando che fosse incastrata; la cercai con lo sguardo, ma non riuscii a trovarla.
Ero disperata. Il ragazzo mi sollevò, prendendomi per la maglietta.
"Era l'unica cosa che avevo. Sei uno stronzo." Dissi piangendo.
Il fatto di avergli risposto in quel modo, per lui folle, lo lasciò di stucco.
Vidi la sua espressione mutare. Era rabbia, che avrebbe sfogato su di me.
Mi lasciò e mosse leggermente la testa per fare cenno ai suoi compagni di stringere il cerchio.
"Ricordi?" Mi guardò. Più evitavo di ricordare tutto, più lui continuava a parlare.
Non ottenne risposta, avevo paura. Mi spinse e finii di spalle al muro.
"Ho detto, ricordi?" Ripetè scandendo le parole, abbassando la voce.
Strinsi gli occhi, per rendere un po' più vivide le immagini che si proponevano davanti ai miei occhi.
Lacrime.
Ne sentii due scorrere sulle guancie.
"Non vedo l'ora che tu... che tu brucerai all'inferno. Lascialo riposare in pace..."
Sollevò la mano e mi diede un pugno sicuramente meno forte di quello che spesso utilizzava per assoggettare ragazzi, ma pur sempre doloroso.
Di solito i giovani lo facevano pressochè mai, Ian però faceva differenza.
Sentii uscire sangue dalle labbra, il suo gusto metallico mi dava fastidio.
Mi lasciò dalla stretta. Sorrise guardandomi mentre proprio quella mi ridusse in ginocchio.
"Vacci tu, all'inferno." Rise e si allontanò lentamente con i suoi compagni, gridandomi ogni tipo di insulto possibile.
La derisione più squallida era la sua. Non riuscii a rispondere per il dolore che stavo provando. E dire che ero abituata, a quel tipo di sofferenza. Mi toccai con due dita il labbro che sanguinava, ritraendole subito.
Scossi un po' la testa per riprendermi e presi lo zaino, tornando a casa.
Aprii la porta notando che come al solito non c'era nessuno.
Andai in camera e asciugai le lacrime mentre salivo le scale.
Mi mancava così tanto.
Sospirai per calmarmi, adirata per aver perso per sempre il suo ciondolo.
Quando me lo regalò, mi fece promettere che l'avrei tenuto sempre con me, qualsiasi cosa fosse accaduta.
La morte lo aveva strappato da me, arrogante. Perchè, perchè lo aveva tolto con tale violenza?
Era parte della mia vita, lo amavo più di qualsiasi altra cosa e non lo sapeva.
Vederlo riposare, quella calma apparente che c'era intorno, piena di dolore, era stato atroce per me.
Accesi il lume nella stanza.
La sua luce era fioca e dorata illuminava debole parte della camera.
Pioveva, sentivo il dolce suono delle goccioline che sbattevano sulla finestra.
Mi stesi sul letto, abbracciando il cuscino e chiudendo gli occhi.
Sue immagini mi martellavano la mente.
Sentii un rumore.
Il cuore prese a battermi forte.
Mi guardai intorno. Notai che, fra la finestra e l'armadio, nella penombra, qualcosa si era mossa.
Pensai immediatamente ad un volatile o a qualcosa proveniente dall'esterno.
Mi avvicinai un po', muovendo la mano in quel punto.
Sentii qualcosa di molto particolare, sembrava leggero velluto.
Si mosse per la seconda volta, ondeggiando un po'.
Ritrassi velocemente la mano, ero spaventata.
Avanzò, ancora.
Indietreggiando inciampai e caddi a terra.
~ ~ ~
Sollevai un po' lo sguardo. Il cuore stava per esplodermi dal petto.
Era lui. Era Bill.
Aveva delle grandi ali nere. Erano quelle che risultavano così particolari al tatto.
Si accovacciò vicino a me, rivolgendomi un tenero sorriso.
Era sereno, felice.
Pensai di essere diventata pazza, di soffrire di allucinazioni.
Quando mi toccò, capii che era tutto vero.
Mosse le sue dita affusolate sulle mie labbra e la ferita che avevo, sparì.
Pensai di non respirare più. Sorrise, ancora.
Il mio sguardo, l'unica cosa che era in grado di muoversi, notò che i suoi polsi e la base del collo erano scorticati.
L'avevano incatenato.
Mi prese in braccio e mi posò sul letto.
Mi sedetti subito.
"Anny..." mormorò.
"B...Bill?" Tremavo.
Per rassicurarmi sorrise ancora, avvicinando timidamente la mano, poggiandola sulla mia guancia.
La sua pelle era talmente candida che sembrava cristallizzata, fredda.
Le sue lunghe dita affusolate, paradossalmente calde, mi suscitarono un piacevole brivido.
"Si, sono io." Si sedette al mio fianco.
"Ma... tu eri... io..." Ero così confusa. Lui era vivo? No, non era possibile, l'avevo visto con i miei occhi, lì, in quella bara.
Aveva le ali, però. Propro quelle si mossero leggermente, tentando di avvicinarsi a me e trovando, come unico ostacolo, il suo corpo.
"Avevo già provato a raggiungerti ma non ci sono riuscito. Perdonami" Disse guardandomi.
"Tu sei..."
"...morto?" Mi guardò profondamente. Quello sguardo che era capace di scavarmi l'anima.
"Si, lo sono. Sono diventato un angelo, nero."
Poggiai la mano sul suo braccio, facendola scorrere fino al polso esile e ferito, rivolgendogli uno sguardo.
Capì che volevo sapere il motivo.
"Mi hanno punito, per aver provato a scappare per raggiungerti. Mi hanno concesso di tornare, per vegliare su di te. Solo tu puoi guardarmi, toccarmi. Gli altri non mi vedono. Solo perchè sei riuscita ad amare. Mi ami così tanto che avresti dato la tua vita per la mia."
"Ti amavo..."
"Mi Ami, perchè dovrebbe essere diverso."
"Perchè non so se sono diventata matta, oppure è reale"
Rimase in silenzio, lasciandomi intendere che ero tutto, fuorchè matta.
"Loro mi hanno trattata così male per tutto questo tempo."
"Lo so, vedevo tutto." Mi accarezzò ancora.
"Baciami." Mi disse.
Mi avvicinò un po' a lui.
Pensai che, se fossi realmente impazzita, sarebbe stata la follia migliore.
Poggiai le mie labbra sulle sue.
Non l'avevo mai fatto quando lui era con me, vivo.
Le sue grandi ali mi avvolsero.
Schiuse leggermente le sue labbra, baciandomi quello inferiore.
Piano si allontanò.
"Ti amo, piccola mia."
Rimasi più frastornata di prima. Quel bacio era stato perfetto.
"Anche io ti amo."
"Puoi toccarmi, sono tuo. Solo tuo."
Prese la mia mano e la poggiò sul suo collo. La guidò sul suo cuore.
Indossava una maglietta nera, leggera, scollata profondamente. Lasciai che la poggiasse.
"Lo senti?" Mi guardò.
"Batte." Dissi sentendo le pulsazioni.
Piano mi allotanò la mano.
"Ora, non batte più." Disse.
Avvicinai un po' il viso al suo petto.
Non batteva, davvero.
"Tu sei capace di farmi sentire... vivo."
"Non ti senti più leggero?"
"Sto male, quando non ci sei. Mi sento così vuoto."
Rimasi in silenzio a guardarlo, incredula.
Lui era lì.
Si avvicinò.
"Posso... posso toccarla?" Dissi timidamente, guardando le ali.
"Certo che puoi. Si abitueranno al tuo tocco." Sorrise dolcemente.
Mi avvicinò a lui. In modo che potessi toccarle comodamente.
~ ~ ~
Con un po' di paura, per la reazione che avrebbero avuto, toccai l'ala sinistra.
La mia mano era molto piccola rispetto a quelle.
Si mossero velocemente all'indietro.
"Non spaventarti, non possono farti nulla."
Lo guardai, poi, quando tornarono vicine, provai di nuovo.
Si lasciarono accarezzare e sembrava che a lui piacesse.
"Ti rivedrò?" Gli chiesi speranzosa.
"Forse, penso di si."
"Ti prego, dimmi se sì o no."
"Si, si." Disse, non completamente sicuro.
Mi bastò sentirglielo dire, per essere rassicurata. Non avrei sopportato un secondo allontanamento.
"Non ti faranno del male, quando tornerai lì?" Chiesi, continuando ad accarezzargli l'ala, guardandolo negli occhi.
"No, questa volta no." Mi accarezzò la guancia.
Chiusi gli occhi e lo abbracciai.
Risentire il suo corpo, il suo profumo.
"Resterò con te, amore."
Mi sollevò il viso e mi baciò, togliendomi due lacrime che mi bagnavano il viso.
Ero felice.
~ ~ ~
Mi guardò.
"Amore mio, devo andare. Mi chiamano."
"Di già?" Lo guardai.
"Mh, tornerò stanotte, non spaventarti, se vedi un'ombra alata vicino a te."
"Ti aspetterò."
"Tranquilla. Devi riposarti. Veglierò su di te." Disse e si alzò dal letto, aprendo poi la finestra.
"Ti aspetterò." Ripetei.
"Oh, quasi dimenticavo, piccola mia" mi accarezzò il collo, pogiandovi entrambe le mani. Lo baciò.
Comparì la sua catenina, con la chiave e un altro ciondolo, un cuore.
"Ti amo."
"Anche io ti amo." Risposi.
Lo lasciai andare, aspettando, a breve, il suo ritorno.
Edited by ‚annì»TH; - 4/3/2011, 22:03